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Il pozzo nel giardino

racconto di Matilde Lazzaroni - 1A

Quella mattina Matilda era particolarmente felice. Lo era sempre, di regola, ma quella mattina ancor di più: da lì a poche ore sarebbe partita per andare da sua nonna. Ogni estate lei e suo fratello Elia trascorrevano dalla nonna tre settimane delle loro vacanze estive.
Matilda aveva preparato tutto già da qualche giorno, schiacciando nel suo zaino un sacco di cose oltre a vestiti e scarpe: il suo peluche preferito, matite, pennarelli e fogli da disegno dai quali non si separava mai, una torcia, le sue scarpette da ballo e la sua macchina fotografica.
Il suo hula hoop doveva portarselo per forza a mano, nello zaino non c’era stato verso di farlo entrare!
Si era svegliata prestissimo quella mattina, aveva fatto colazione, si era lavata in fretta e furia e nel vestirsi era stata quasi più veloce del vento che soffia alcuni mesi a Trieste!
Sapeva già che le tre settimane trascorse dalla nonna sarebbero state per lei e per suo fratello Elia giorni di pura avventura.
Della casa della nonna amava tutto, ma in particolar modo amava il giardino.
Era grandissimo: c’erano abeti secolari che solo a guardarli la facevano sentire ancora più piccola di quello che era già, una magnolia che faceva fiori così grandi da sembrare ninfee e che era diventata la casa preferita di tortore e merli.
Vi erano oleandri, alberi da frutto e tra questi un albero di susine.
A Matilda non erano mai piaciuti i frutti di quell’albero, ma aveva rami che permettevano a lei e a suo fratello di arrampicarsi quasi fino in cima senza pericolo, per questo era in assoluto il suo albero preferito! Lei era più veloce e meno prudente del fratello a salire sugli alberi e tutti in famiglia la chiamavano “scimmietta”.
Poi nel giardino c’erano i fiori, fiori a volontà. Rose di ogni colore: rosse, gialle, bianche, arancioni. Poi giunchiglie, mughetti, giacinti profumatissimi e margherite di campo, margherite ovunque: lei passava ore a raccoglierne per fare coroncine per i capelli.
Il giardino della nonna era una tavolozza di colori.
Tutte le volte che era in quel giardino Matilda si sentiva parte di un bellissimo quadro colorato e per la sua felicità si trovava spesso a fare capovolte e ruote.
Quel giorno la mamma aveva accompagnato lei ed Elia dalla nonna verso l’ora di pranzo: un bacio, mille raccomandazioni, quattro chiacchiere con la nonna e poi se ne era andata.
La nonna di Matilda e di Elia, come ogni nonna, permetteva loro di fare qualsiasi cosa, insomma li viziava, bastava insistere un po’ e il gioco era fatto: potevano fare il bagno in piscina senza rispettare il trascorrere delle due/tre ore che la mamma sempre imponeva loro, potevano trattenersi ogni sera fin dopo la mezzanotte, potevano rifiutarsi di mangiare la verdura e, soprattutto, dalla nonna mangiavano ogni giorno il gelato.
Come ogni nonna anche la loro era facile da convincere, tranne che su una cosa: in fondo al giardino vi era un albero di limoni con dietro un pozzo di pietra. Avevano il divieto assoluto di avvicinarsi a questo pozzo.
In fondo al giardino c’era anche una piccola fontana rotonda dove qualche anno prima sguazzavano pesci rossi, ahimè diventati col tempo il pasto di feroci gatti.
Per rimediare a questa triste carneficina (o, per meglio dire, pescificina!) la fontana era stata svuotata e riempita di gerani rossi, bianchi e rosa.
La cosa che attirava ogni estate la curiosità di Matilda e di suo fratello era ovviamente il pozzo “proibito” in pietra bianca, con disegni in bassorilievo di figure femminili alate che camminavano su petali di fiori, portando sulle spalle dei vasi dai quali uscivano delle piccole stelle.
Il pozzo doveva essere profondo, o almeno così pensavano i ragazzi, perché la corda legata al secchio utilizzato per raccogliere l’acqua era veramente lunga, così lunga che per avvolgerla tutta al gancio doveva fare almeno otto giri!
Ogni volta che i due ragazzi cercavano di avvicinarsi, sbucava la nonna dalla porta della veranda che, con tono severo, li faceva allontanare: “Via da lì, è troppo pericoloso!” diceva.
“Se cadete dentro? Soprattutto tu Matilda, magrolina come sei, non avvicinarti mai a quel pozzo! Elia, tu che sei il più grande stai attento a tua sorella!” diceva sempre la nonna.
Quando erano in vacanza in quella casa, Matilda ed Elia dormivano insieme nella stessa stanza.
La grande finestra della camera dava sul loggiato che si affacciava sul giardino.
Durante la notte i due ragazzi erano soliti tenere la finestra aperta per far entrare un po’ di aria: la casa della nonna non aveva condizionatori, ma era meglio così! Adoravano addormentarsi ascoltando il canto dei grilli e il gracidare delle ranocchie, che durante la notte affollavano il giardino. Forse per la presenza dei tanti insetti, soprattutto delle maledette zanzare! 
Quando erano piccoli i due fratelli avevano stretto un patto: di notte, a casa della nonna, ci si doveva muovere in coppia. Se qualcuno si svegliava o per la sete o per il bisogno di fare pipì doveva svegliare anche l’altro.
E così accadde quella notte.
Matilda si era svegliata per la gran sete, si era seduta sul letto e aveva guardato con la torcia la sveglia sull’unico comodino posto tra i due lettini in ferro battuto: segnava le due.
Aveva puntato la luce della torcia in faccia a Elia che dormiva profondamente: stava sicuramente sognando qualcosa, perché continuava a muoversi e a dire parole incomprensibili, ma ci era abituata. Anche a casa Elia parlava di notte, alcune volte aveva incubi e urlava forte.
Prima di chiamare Elia, Matilda si alzò dal letto e andò alla finestra, attirata sempre dal giardino e soprattutto da quel pozzo nascosto dall’albero di limoni. Era bellissimo, illuminato dalla luce della luna.
Con i gomiti appoggiati al davanzale e con le mani sotto il mento, Matilda si mise a sorridere: il paesaggio che aveva davanti agli occhi la rendeva talmente felice che quasi si era dimenticata della gran sete che aveva.
“Accidenti, perché non sono un cammello? I cammelli possono fare scorte di acqua e possono non bere per giorni e giorni!” aveva pensato.
Stava per urlare “Svegliati!” nell’orecchio di Elia, quando all’improvviso sentì una dolce brusìo provenire dal pozzo. Sembrava quasi un richiamo, un invito ad andare al pozzo: notò anche delle piccole luci che provenivano dall’albero di limoni.
Il sonno profondo di Elia le stava dando sui nervi e così, oltre a gridargli nell’orecchio “Svegliati, dormiglione!” iniziò a strattonarlo violentemente.
Elia, spaventato, si sedette sul letto e guardando negli occhi sua sorella gridò: “Ma sei matta, mi farai venire un colpo!”.
“Elia, presto! Dobbiamo scendere in cortile: ho sentito una specie voce, o meglio un verso, o meglio ancora un brusio che proveniva dal pozzo! Sono andata a controllare, perché come tu sai sono molto curiosa: mi pare di aver visto delle piccole stelle che provenivano dall’albero di limoni!”.
“Tu sei suonata! Tu e le tue storie di fate, elfi e sirene!” rispose il fratello. “Stai zitta e rimettiti a dormire”.
“Se non vieni con me dirò a tutti che dormi ancora con il tuo pulcioso orso di peluche che ha un nome assurdo”: Matilda lo osservò uno sguardo di sfida.
Ad Elia non restò che seguire sua sorella: presero una torcia ciascuno e scesero piano piano le scale di marmo che portavano al piano di sotto. Mancava soltanto il passamontagna, per essere scambiati per ladri.
Elia girò la chiave e aprì il chiavistello mezzo arrugginito del portoncino che dava  sul giardino. 
Non avevano bisogno delle torce, bastava la luce della luna e di quelle piccolissime lucine del pozzo per vedere. Poi non dovevano mica percorrere chilometri...
“Sentì anche tu, Elia? Senti anche tu questa specie di verso?”
“Questo brusio simile al rumore fastidioso di una zanzara tigre?” rispose Elia.
“Sì, sembra il brusio di un insetto, ma sono sicura: è un linguaggio, ne sono certa” disse Matilda.
I due ragazzi si avvicinarono al pozzo: era buio e profondo, pieno di muschio.
Elia buttò un piccolo sasso e dopo pochi secondi si sentì “splash!”.
“Accidenti, c’è dell’acqua laggiù” disse il ragazzo.
Il brusìo proveniva proprio da lì.
Piano piano iniziarono a tirare su la catena alla quale era legato il secchio di legno. 
“Eccolo!” gridò Matilda. “Ce l’abbiamo fatta”.
Subito i due ragazzi guardarono all’interno del secchio e con grande stupore videro distesa sul fondo dello stesso un esserino che mai avevano visto: si trattava di una piccola fata!
Matilda non credeva ai suoi occhi, mentre Elia continuava a ripetere: “È impossibile, sarà qualche insetto arrivato dall’Estero”.
La fatina era alta circa cinque millimetri: per metterla bene a fuoco bisognava strizzare gli occhi! Aveva capelli luccicanti e color argento, raccolti in una treccia legata con piccolissimi fiori rosa e lilla. I suoi occhi erano piccolissimi, neri e vispi. Aveva ali azzurre lunghe più della sua altezza che erano piegate in un modo tale che lei non le calpestasse. Vestiva dei pantaloni al polpaccio color glicine e una camicetta blu. Era fradicia e molto molto raffreddata: tra un brusio e l’altro continuava a tossire.
“Sta morendo Elia, sta morendo: dobbiamo salvarla” disse Matilda.
Elia prese il fazzoletto che teneva in tasca e avvolse la fatina stando molto attento a non schiacciarla. Come due saette i fratelli risalirono nella loro camera dopo aver chiuso silenziosamente la porta di casa al di là della veranda.
Arrivati in camera stesero la fatina sul letto, la asciugarono per bene e con dolcezza Matilda iniziò a soffiare su di essa.
“Soffia anche tu Elia, soffia! Il nostro fiato è tiepido, dobbiamo riscaldarla”.
Anche Elia iniziò a soffiare e piano piano la fatina si riprese e fece un grande sorriso ai suoi due salvatori! Il brusio che la fatina emetteva ora era diventato più squillante e vivace, doveva stare decisamente meglio!
Ma capirla era impossibile, gesticolava, mimava cose incomprensibili, faceva smorfie, indicava il pozzo.
Anche le sue ali si erano asciugate e aveva iniziato a svolazzare nella stanza.
Usciva dalla finestra e poi, di colpo, rientrava dai ragazzi, planava sulle loro teste.
Non riuscivano a calmarla. Matilda, stendendo la sua mano, disse alla piccola fata: “Cosa vuoi che facciamo?”
L’essere magico si posò sulla sua mano e puntò con il suo dito la finestra.
I ragazzi andarono alla finestra e la fatina puntò il dito verso il pozzo.
“Dobbiamo ritornare al pozzo! Lei vuole che andiamo là” disse Matilda ad Elia.
Scesero a piedi nudi le scale, riaprirono la porta che dava sulla veranda e si misero davanti al pozzo. 
La fatina volò sull’albero di limoni e si mise a fare i suoi soliti versi con la bocca: dopo qualche secondo uno sciame di fate la raggiunse.
Matilda ed Elia non credevano ai loro occhi; saranno state mille, o forse più! Tutta la chioma dell’albero di limoni ne era piena.
Quello che uscì dalla bocca dei ragazzi fu un grande “WOW”.
Le fatine calarono il secchio nel pozzo e dopo poco tirarono la corda per recuperarlo.
“Che volete fare?” disse Elia.
La “loro” fatina mimò il gesto di bere.
“Dobbiamo bere quest’acqua” disse Matilda che senza pensarci un attimo buttò letteralmente la testa nel secchio e bevve a più non posso.
Poi fu il turno di Elia.
Dopo aver bevuto i ragazzi guardarono  la loro piccola fata.
“Ciao, io sono Shaila”. Nessun brusio: Matilda ed Elia capivano la sua lingua.
“Sono caduta nel pozzo e non riuscivo più ad uscire perché le mie ali si erano bagnate. Voi mi avete salvata. Noi viviamo sull’albero di limoni, in questa fitta chioma profumata si trovano le nostre case”.
“Ma noi vi capiamo!” dissero insieme i ragazzi.
“Sì: l’acqua di questo pozzo è magica, permette agli umani di capire il nostro linguaggio, quello degli animali, delle piante e dei fiori e… non solo” disse Shaila sorridendo.
All’improvviso i due ragazzi iniziarono a staccarsi da terra: un metro, due, sempre di più e, circondati dalle fate, iniziarono a volteggiare nel cielo.
Quella notte sarebbe stata per Matilda ed Elia la prima di una lunga serie di notti avventurose alla scoperta di mondi magici e fantastici.
Iniziarono a volare sopra tutta la città, che non avevano mai visto dall’alto. Shaila e le altre fate insegnarono loro l’arte del volo: scendere in picchiata per poi risalire in pochi secondi, fare capovolte all’indietro e stare semplicemente fermi a farsi cullare dal vento. Passando tra gli alberi, Matilda ed Elia ricevettero i complimenti da  molti uccelli notturni. Dopo aver volato per tutta la notte, i due fratelli entrarono dalla finestra in camera; salutarono lo sciame di fate, soprattutto Shaila, con la promessa di rivedersi tutte le notti di quell’estate e delle estati successive.
Ancora oggi nelle notti serene, alzando lo sguardo al cielo, sopra la casa che era stata della nonna di Matilda ed Elia, si possono osservare due vecchietti che in pigiama volano felici facendo acrobazie, circondati da tantissime stelline.

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